Gli interventi del filosofo Alessandro Ferrara e del giurista Francesco D’Agostino sulla dichiarazione conciliare “Dignitatis Humanae”, nella seconda giornata del convegno “Religioni, Libertà, Potere”

di Claudia ZANELLA

1-82010

«A motivo della loro dignità, tutti gli esseri umani, in quanto persone, dotate cioè di ragione e di libera volontà e perciò investiti di personale responsabilità, sono dalla loro stessa natura e per obbligo morale tenuti a cercare la verità, in primo luogo quella concernente la religione». All’Università degli Studi di Milano, nella seconda giornata del convegno “Religioni, Libertà, Potere”, la citazione della Dignitatis Humanae, la dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa, è di Alessandro Ferrara, professore ordinario di Filosofia politica all’Università degli Studi di Roma Tor Vergata.

Il filosofo ha analizzato la questione della libertà religiosa dall’Editto di Costantino a oggi, soffermandosi sui problemi sorti dalla confusione tra il potere spirituale e quello istituzionale. Ha ricordato come l’Editto di Milano abbia rappresentato il riconoscimento della legittimità del mondo cristiano, fino a quel momento nascosto nell’ombra. Ha voluto però sottolineare come, a questa iniziale fase di libertà, nel tempo – soprattutto in epoca teodosiana – se ne sia sostituita un’altra di “imposizione” di credo, dovuta alla sovrapposizione dei poteri religiosi e temporali, in un connubio caratterizzato da un criterio di univocità ideologica, religiosa e politica: «Un Dio, un imperatore, una terra e una fede». Descrivendo, attraverso le parole di teologi e filosofi, la storia che intreccia potere religioso e potere politico, Ferrara ha evidenziato come nel contesto contemporaneo si sia aperto un nuovo orizzonte di dialogo tra religione e mondo laico. In una società sempre più eterogenea, secondo il filosofo, si deve riportare il discorso alla libertà di credo e aprire una discussione sulla separazione del potere politico da quello religioso: «Durante l’era della globalizzazione, nel mondo nessuno può sognare una sola fede e una sola umanità. Bisognerà per forza convivere con altre fedi e arrivare a un dialogo interreligioso».

La parola è poi passata a Francesco D’Agostino, professore ordinario di Filosofia del diritto sempre a Tor Vergata, che si è concentrato sul significato attribuito nel tempo all’espressione «libertà religiosa». L’accezione più istituzionale riguarda la comunità religiosa, la sua esigenza di riconoscimento e il diritto a professare il proprio credo, senza intrusioni o atti coercitivi da parte dello Stato. Tuttavia, secondo D’Agostino, questa è una definizione superata, che «non corrisponde più alla sensibilità moderna». Secondo il giurista, la società avrebbe infatti un nuovo atteggiamento nei confronti della religione: «La modernità ritiene che le religioni siano pericolose, poiché creano momenti di conflitto in cui non è possibile conciliare punti di vista incompatibili». Per questo motivo le istituzioni cercherebbero di entrare anche nella sfera privata dei cittadini, impartendo loro modelli pedagogici approvati dallo Stato. In questo contesto, secondo D’Agostino, ha senso parlare di una seconda accezione, antropologica, dell’espressione «libertà religiosa». Riprendendo il passo della Dignitatis Humanae già citato da Ferrara, D’Agostino ha evidenziato che il senso di dovere che accompagna la ricerca della verità, è il punto di comunanza tra tutti gli esseri umani. Esso, a suo parere, rappresenta quindi la radice antropologica alla base della libertà religiosa.

Tuttavia questo modo di concepire la libertà di credo non è privo di difficoltà nella società attuale. «Questa accezione della libertà religiosa, basata su un vincolo che obbliga l’uomo a cercare la libertà, è originale, ma anche fragile. Perché, in una società in cui siamo abituati a vedere l’uomo come soggetto di diritti, il richiamo al dovere, come principio costitutivo fondamentale della nostra dignità, è debolissimo», ha concluso D’Agostino.