Gli appuntamenti costantiniani del Festival MiTo, con il concerto della Cappella Musicale del Duomo, l'esecuzione del brano vincitore del Primo Concorso Internazionale di Composizione di Musica Sacra, la lectio del professor Bonamente sul rescritto imperiale del 313.

di Giovanni GUZZI

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Col suo Arcivescovo in Serbia, come inviato speciale del Papa a Belgrado e Nis, per le locali iniziative celebrative dei 1700 anni dall’Editto di Milano, la città diretta interessata non è comunque rimasta a dormire sugli allori. Negli stessi giorni, infatti, anche il Festival MiTo Settembremusica non ha fatto mancare il suo contributo alla “causa” proponendo al pubblico della sua edizione milanese una successione di ben tre appuntamenti nell’ambito di un’intera giornata tutta dedicata allo storico anniversario.

Una scelta dettata non tanto da una sterile volontà di inseguire il calendario delle ricorrenze ma pensata quasi come una forma di riconoscenza, da parte di chi si occupa di musica, nei confronti di una decisione che, avendo favorito la libera espressione religiosa e, di conseguenza, la liberazione dei primi cristiani dalla condizione di peseguitati, ha posto le premesse perché nei secoli successivi il genio di innumerevoli artisti potesse consegnare all’umanità tutti i capolavori della musica sacra, più o meno direttamente legata alla liturgia, che conosciamo e di cui è particolarmente ricca la tradizione cristiana.

La Cappella musicale del Duomo
Un patrimonio dal quale il Festival ha attinto a piene mani al punto che, arrivati alla sua settima edizione, si può a buon diritto dire che, anche riferendosi soltanto alle Messe composte per la celebrazione eucaristica ed, appunto, di nuovo eseguite in tale contesto, il suo pubblico ha potuto assistere negli anni ad una significativa selezione di opere che, più o meno celebri, costituiscono l’ossatura portante della storia della musica sacra in ambito cristiano. Una produzione che, evidentemente, non avremmo avuto se il corso della storia fosse andato in altra direzione. Per nostra fortuna, invece, la abbiamo e di essa hanno dato saggio i pueri cantores e le voci virili della Cappella Musicale del Duomo di Milano nel concerto pomeridiano di apertura del Trittico Costantiniano per MiTo 2013.

Un concerto significativamente incentrato per intero sul motivo conduttore del Credo niceno-costantinopolitano e nel quale i vari articoli di fede sono stati declamati attraverso l’antica monodia ambrosiana e contrappuntati con alcuni mottetti polifonici provenienti dall’archivio privato della Veneranda Fabbrica del Duomo e della sua Cappella Musicale. Un fondo in cui, gli oltre 45 maestri che si sono avvicendati alla sua direzione nelle varie epoche della storia, hanno lasciato il segno della loro fede e della loro arte.

Il repertorio in programma ha quindi spaziato dallo Stabat Mater di Franchino Gaffurio (1484-1522), insigne esempio di fusione della cultura polifonica fiamminga col nuovo stile italiano che culminerà nell’opera di Palestrina, alle composizioni dei maestri dei secoli successivi per arrivare, infine, all’attuale, don Claudio Burgio, di cui è stato proposto anche il brano “Tu mi chiami”, appositamente scritto per essere eseguito alle esequie del card. Martini ed al quale appartengono le parole messe in musica.

Tra le più antiche istituzioni musicali d’Europa, la Cappella musicale svolge il suo servizio in Cattedrale ininterrottamente dal 1402 e la presenza dei pueri cantores a Milano è attestata essere antecedente la prima venuta di Ambrogio in città. Siamo dunque in pieno IV secolo ed è pertanto stata volutamente significativa e simbolica la scelta di eseguire il concerto nella chiesa di San Giorgio al Palazzo: luogo di cui, in questo anno di celebrazioni costantiniane, pochi hanno ricordato la rilevanza storica. Questa chiesa, infatti, che non è inclusa negli itinerari turistici in Milano quanto meriterebbe (la cappella in cui Bernardino Luini ha realizzato uno splendido ciclo pittorico sul tema della Passione di Cristo vale da sola una visita), è la materiale risposta a coloro che si domandano dove Costantino Augusto e Licinio Augusto abbiano “ritenuto di accordare ai cristiani e a tutti gli altri la libertà di seguire la religione che ciascuno crede affinché la divinità che sta in cielo, qualunque essa sia, a noi e a tutti i nostri sudditi dia pace e prosperità” come recita l’Editto del 313. Una lapide affissa sulla parete sinistra all’interno dell’edificio sacro rivela, infatti, il suo essere stato fondato nell’ambito delle vestigia del Palatium romano (voluto da Diocleziano come sede imperiale) di cui, accanto all’intitolazione a San Giorgio, rieccheggia nel nome la preesistenza e, con essa, conserva e tramanda nei secoli la memoria dell’Editto di Milano.

La lectio di Bonamente
Che si tratti davvero di un Editto, sia stato promulgato a Milano e sia proprio del 313 è stata materia di argomentazione per il successivo momento “costantiniano” di MiTo: la lectio,nel Cortile dell’Arcivescovado, del professor Giorgio Bonamente, Ordinario di Storia Romana all’Università di Perugia. I dubbi interpretativi su natura, data e luogo di promulgazione del provvedimento sono dovuti al fatto che è citato dagli storici del tempo ma non ce ne è giunta copia. Tuttavia inquadrando il problema storicamente e storiograficamente nel contesto delle vicende politiche e religiose del tempo, e di Costantino il Grande in particolare, l’Editto di Milano, espressione di un incontro ed importanti accordi stipulati fra i due Augusti, risulta assolvere alla funzione di momento emblematico al quale riferirsi per indicare un fenomeno articolato e scandito nel tempo quale fu l’applicazione delle norme e dei principi contenuti nell’Editto di Galerio del 311 che vide ulteriori aggiornamenti nell’Editto di Licinio di Nicomedia del 313. Quest’ultimo, di pochi mesi successivo a quello di cui celebriamo la ricorrenza Ambrosiana, ci è invece pervenuto ed in esso si conferma l’importanza della libera espressione religiosa in quanto funzione socialmente benefica per lo stato e meritevole del suo sostegno, anche economico.

Il "Magnificat" di Schiavo
Il grande concerto serale in Duomo, con l’esecuzione in prima assoluta del brano vincitore del Primo Concorso Internazionale di Composizione di Musica Sacra (organizzato da MiTo, Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano e Casa Ricordi) ci ha riportati al nostro tempo testimoniando quanto, ancora oggi, la libertà religiosa sia fonte di ispirazione per chi compone musica sacra. Se, poi, il Magnificat per soli, coro, coro di voci bianche e orchestra del giovane compositore Leonardo Schiavo, 30 anni, di Montecchio Maggiore (VI), premiato da una giuria internazionale tra oltre 60 partiture arrivate da tutto il mondo, avrà un giorno un posto importante fra le eccellenze del genere lo stabiliranno il vaglio della storia e del pubblico.

Resta il fatto che, per ascoltarlo, assieme alle Variazioni corali su “Vom Himmel hoch da komm ich her” di Johann Sebastian Bach di Stravinsky e alle Vesperae solemnes de confessore K. 339 di Mozart, in Duomo è accorsa una folla inaspettata che ne ha gremito le navate.

E chi scrive si è trovato accanto un egiziano, musulmano, definitosi “cittadino del mondo” e presente perché incuriosito dall’ordinata, lunghissima, fila in attesa sulla piazza: “se tanta gente vuole entrare significa che ci sarà qualcosa di bello”. Costantino e Licinio hanno visto giusto.